PERCHÉ CI SONO LE CITTÀ?
Da un punto di vista urbanistico la città può essere definita come un complesso di edifici riuniti in un insieme che risponda a particolari condizioni e necessità pratiche relative sia ad un determinato periodo storico sia al modo di vivere di un determinato popolo.
I motivi che determinano la nascita di una città sono di varia natura: principalmente pratici, nel fornire ai cittadini varie possibilità di lavoro (industrie, commercio, etc.), facilità nelle comunicazioni e nei trasporti, mezzi di difesa contro nemici esterni (agenti naturali, guerre etc.); quindi motivi di natura spirituale nel riunire in una comunità funzionante un gruppo etnico affine, con le stesse esigenze culturali e religiose.
E così, fin da epoche remotissime, vediamo sorgere le città nei luoghi in cui le migliori condizioni naturali favoriscono la sviluppo delle attività lavorative più diffuse presso i cittadini.
Città portuali sorgono in insenature e in golfi ben riparati, città mercantili o militari all'incrocio di più vie di comunicazione, presso valichi importanti o in posizioni d'importanza strategica; città agricole o industriali lungo corsi d'acqua navigabili o utilizzabili per l'agricoltura e per le lavorazioni artigiane o industriali; città termali o di villeggiatura, infine, in prossimità di sorgenti d'acqua, in località amene e salubri.
La necessità di difendere la città dall'attacco dei nemici determina nel tempo varie soluzioni caratteristiche: nell'antichità e nel Medioevo si cerca di costruire le città in località elevate ed inaccessibili e, qualora le città sorgano in pianura, si cingono di mura e di fortificazioni.
Nello svilupparsi la città segue, per lungo tempo, un progredire irrazionale, legato più alle strutture preesistenti ed alla conformazione dei luoghi più che a veri criteri urbanistici.
Solo recentemente, divenendo la città un costante centro di raccolta di popolazione, è sorta l'esigenza di distribuire razionalmente gli edifici così da poter fornire ai cittadini la possibilità di usufruire pienamente di tutti i servizi.
Avanzate concezioni urbanistiche possedevano già i Mesopotamici, i Cinesi e gli Egizi che, nel costruire le loro città, cercavano di donar loro un aspetto ordinato e razionale, secondo forme geometriche rispondenti ad esigenze di carattere pratico ed estetico.
Ma una vera e propria applicazione sistematica di siffatte concezioni si ebbe nell'età ellenistica, soprattutto nelle città delle colonie romane, alla base della cui progettazione fu il caratteristico tracciato «a scacchiera».
Durante tutto il Medioevo queste concezioni urbanistiche furono accantonate poiché si dovette tenere in massimo conto le necessità di difesa e di fortificazione dei centri urbani.
Ripresero vigore nel Rinascimento in cui alle nuove esigenze di spazio si aggiunge il ritorno all'antico, all'armonia ed all'equilibrio dei classici, e soprattutto nel XIX secolo per il crescente aumento della popolazione in via d'inurbamento. Nel nostro secolo, infine, con l'eccezionale sviluppo del traffico e con l'aumento vertiginoso della popolazione che vede nella città maggiori possibilità di lavoro e di alto tenore di vita, i centri urbani incontrano quotidianamente problemi da affrontare e risolvere in fretta, per limitare il proprio ingigantimento caotico, per uno sviluppo sapiente e razionale.
PERCHÉ C'È IL CEMENTO?
Fin dai tempi più antichi per legare assieme saldamente le pietre nelle costruzioni gli uomini hanno usato la calce.
Essa è costituita da ossido di calcio ottenuto dalla cottura di pietra calcarea a circa 800 gradi e, impastata con aggregati sottili come sabbie calcaree o silicee, dà origine ad una massa legante abbastanza solida e resistente.
Nel 1824 un fornaciaio muratore inglese, Joseph Aspdin, brevettò un prodotto ottenuto dalla cottura di una mescolanza intima di calcare e di sostanze argillose che, polverizzato ed impastato con acqua, dava origine a masse dure, in parte simili alla pietra da costruzione che si trova nell'isola di Portland: questo prodotto era il cemento (detto cemento Portland o cemento idraulico normale), e possiamo dire che da quel giorno iniziò una nuova era per l'industria edilizia.
Sono detti cementi naturali quelli ottenuti dalla cottura a temperature elevate (1400") di marne contenenti in giusta proporzione calcare e argilla. Il materiale così ottenuto è chiamato «clinker» e viene macinato assai finemente.
La cottura avviene in un forno rotativo costituito da un cilindro di acciaio rivestito di materiale refrattario, inclinato sull'asse e poggiante sopra supporti e rulli su cui ruota lentamente.
In fondo al cilindro si trova il bruciatore. Le materie prime (argilla, calcare) sono introdotte dall'alto e procedono verso il basso rotolando lentamente e incontrando una temperatura sempre più alta fino a raggiungere i 1500 gradi in prossimità del bruciatore. E' a questo punto che si forma il clinker, una massa semifusa di silicati e di alluminati di calcio.
Segue un rapido raffreddamento (fino ai 700°) quindi il clinker così temperato cade in uno o più tubi, anch'essi rotanti, disposti sotto il forno, dove si raffredda ulteriormente.
Dopo una certa stagionatura il clinker viene finemente macinato e dà origine al cemento vero e proprio che viene immagazzinato in grandi silos dove viene più volte mescolato così da fornire al consumo un prodotto costante ed omogeneo. Quando s'impasta il cemento con l'acqua, la massa ottenuta comincia subito ad indurire e questo indurimento è progressivo, prosegue nel tempo e dura anche per qualche anno. Se poi lo si tiene sott'acqua può addirittura assumere una consistenza lapidea.
Vari sono i tipi di cemento che si ottengono mescolando materiali diversi e tra i più noti ed usati è interessante ricordare il «cemento espansivo» contenente solfoalluminati: questo presenta la caratteristica di indurirsi e di espandersi al contatto prolungato con l'acqua e perciò viene utilizzato per rinforzare strutture, arcate, e per i lavori di riparazione.
Quindi il cemento ferrico, contenente un'alta percentuale di ferro, assai resistente all'acqua di mare, e il cemento bituminoso, mescolato con catrame, asfalto e zolfo, impiegato per la copertura di terrazzi e tetti con pendenza minima.
Schema di produzione del cemento
PERCHÉ I PONTI SONO FATTI AD ARCATE?
Il ponte è una costruzione vecchia di secoli ormai: già i popoli dell'Oriente
e gli Egiziani costruirono ponti, anche se rudimentali, e così pure i Greci, benché non ne avessero bisogno data la scarsità di corsi d'acqua nel loro Paese. Etruschi e Romani, geniali architetti,svilupparono le conoscenze tecniche degli antichi ottenendo risultati veramente grandiosi.
Roma sorse sulle rive del Tevere e ben presto si presentò la necessità di doverlo attraversare senza tuttavia sbarrarne il corso. Occorreva dunque gettarvi sopra una strada e l'unico mezzo possibile era di costruire la strada sopra una volta od una serie di volte, poggianti su sostegni relativamente poco ingombranti.
Il problema fu risolto così dai Romani ed ancor oggi, per superare un qualsiasi ostacolo, un fiume, una strada, una ferrovia, si utilizza la volta, il ponte ad un'arcata o ad una serie di arcate.
Perché una volta, così aerea e leggera, può sostenere pesi notevoli senza crollare?
Sarebbe molto difficile penetrare nel complesso meccanismo dei rapporti matematici che governano la stabilità di un ponte. È interessante tuttavia fare la conoscenza con un antico elemento, fondamentale in un arco in funzione della sua stabilità e della sua resistenza, la cosiddetta «chiave di volta», ancor oggi visibile in ogni arco costruito in pietra da taglio.
La chiave di volta, dunque, è l'elemento centrale dell'arco, costituito da un cuneo, detto «cuneo a chiave», piuttosto pesante, inserito proprio nel punto più alto dell'arco, alla confluenza dei due semiarchi. Il suo peso, agendo in modo costante ed equo sui due semiarchi, garantisce la loro stabilità sui piedritti.
Nei ponti moderni, in muratura o in cemento armato, la chiave di una volta non risulta più come elemento costruttivo ben definito e visibile, ma costituisce solo un punto di riferimento: la stabilità degli archi moderni non è più affidata alla chiave ma a complessi rapporti matematici che tengono conto della qualità del materiale impiegato, della solidità dell'insieme, della proprietà delle costruzioni in muratura o in cemento armato.
Il ponte coperto sul Ticino
PERCHÉ I PONTI POSSONO CROLLARE?
Le cause che determinano il crollo di un ponte possono essere varie: il peso eccessivo che grava sulla volta, un errore nei calcoli, un difetto di qualità nel materiale impiegato oppure, se si tratta di un ponte gettato su un fiume, il cedimento di uno o più piloni di sostegno dovuto al progressivo o brusco abbassamento del terreno su cui poggiano i piedritti.
È interessante sapere, però, che presentando l'arcata di un ponte in rapporto alla sua luce una certa qual oscillazione, una circostanza esterna che aumenti questa oscillazione oltre i limiti consentiti, può provocare il cedimento delle strutture e il conseguente crollo del ponte.
Una di queste circostanze è, ad esempio, il passaggio di una colonna di soldati.
Il ritmo cadenzato del passo di marcia può far entrare in vibrazione il ponte e determinarne il crollo. Ecco perché quando una colonna di soldati deve attraversare un ponte, si ordina loro di camminare normalmente e in modo confuso evitando di procedere a passo di marcia.
PERCHÉ SI USA IL CEMENTO ARMATO?
Gli uomini, per la necessità di raggiungere nelle costruzioni edili altezze eccezionali e forme stilisticamente più eleganti ed ardite, hanno inventato e a poco a poco perfezionato la tecnica costruttiva che utilizza non più mattoni e calce ma il «cemento armato».
Il calcestruzzo armato può essere definito una fusione a freddo tra un impasto di cemento e di materiali lapidei e l'acciaio.
Questa felice unione dà come risultato un blocco di materiale resistente a trazioni eccezionali e permette quindi di effettuare costruzioni audacissime che se fossero fatte in mattoni crollerebbero al primo colpo di vento come un castello di carte.
Come si costruisce una struttura in cemento armato? Si prepara prima l'armatura in sbarre di acciaio la cui sezione dipende dal peso che la struttura è destinata a sopportare.
Queste sbarre sono tenute saldamente legate tra loro per mezzo di altre sbarre di sezione minore, finché tutta l'armatura presenti un aspetto solido e, nei punti di maggior trazione, solidissimo grazie al maggior numero di sbarre impiegate.
Pronta l'armatura la si riveste di legno, in modo che sia perfettamente ingabbiata e che le tavole di legno formino come una specie di stampo in cui poter versare la gettata di calcestruzzo.
A questo punto si prepara l'impasto formato da cemento, sabbia, ghiaia di varia misura ed acqua in quantità ben precise, scrupolosamente calcolate: da questi calcoli, infatti, dipende la resistenza del calcestruzzo quando si sarà indurito. Quindi si fa colare l'impasto nelle gabbie facendo in modo che venga ben compresso e che vada ad occupare ogni spazio vuoto (si utilizzano per questa operazione opportuni «vibratori»).
Ora non resta che aspettare che il calcestruzzo si indurisca formando un blocco unico con le sbarre d'acciaio: solo allora si può togliere la gabbia di legno, ormai inutile. Le tavole che formavano la gabbia vengono ammucchiate l'una sull'altra lasciando scoperta a poco a poco una parete durissima, un vero e proprio monolite quasi indistruttibile.
PERCHÉ ALCUNI EDIFICI SONO DI FERRO?
Come abbiamo visto il cemento armato ha quasi del tutto soppiantato nelle costruzioni edili cittadine la vecchia casa di pietra e mattoni. Sempre più raramente s'incontra il muratore che, armato di cazzuola e filo a piombo, pietra su pietra, mattone su mattone, alza al cielo mura maestre.
La moderna civiltà richiede il massimo sfruttamento degli spazi nel più breve tempo possibile e degli edifici che nascono a ritmo vertiginoso volano verso l'alto per concedere alla popolazione il maggior numero di ambienti abitabili.
È dunque una caratteristica dei nostri tempi quella di raggiungere, in ogni settore, risultati tecnici sempre nuovi e sempre più audaci.
Anche nelle costruzioni edili si cerca di superare le tecniche costruttive più avanzate con metodi del tutto rivoluzionari per guadagnar tempo nell'esecuzione e, contemporaneamente, per soddisfare le moderne esigenze di nuovo spazio, di stile e di gusto.
È il caso delle costruzioni che evitano il più possibile l'impiego del cemento, della pietra e del mattone, utilizzando strutture in acciaio capaci di superare i limiti imposti dalle regole architettoniche tradizionali.
Assistiamo così al nascere sempre più frequente di costruzioni imponenti in acciaio, di edifici industriali e di «grattacieli di vetro» che ci stupiscono per la leggerezza delle strutture in rapporto alla loro fantastica altezza.
PERCHÉ NELLE CITTÀ CI SONO LE FOGNATURE?
Le fognature, l'insieme delle canalizzazioni interrate che servono ad allontanare da una certa area le acque nocive, sia meteoriche che di rifiuto, sono opere pubbliche di primaria importanza e stanno alla base dell'organizzazione urbanistica di un centro abitato.
È facilmente intuibile come dalla efficacia e dalla funzionalità delle fognature dipenda l'igiene e la salute degli abitanti di una città: un centro urbano, infatti, deve poter eliminare, in modo totale e completo, l'insieme dei rifiuti e delle acque meteoriche, per evitare il possibile diffondersi delle epidemie e il pericoloso verificarsi di allagamenti.
Ogni città può essere costruita secondo criteri urbanistici i più vari, ma fin dai tempi antichi gli uomini si sono preoccupati di fornire le loro città di un più o meno complesso sistema di fognature.
Famosa, ad esempio, è rimasta la Cloaca Massima che, costruita dagli Etruschi in epoca regia, dalla Suburra, quartiere popolare dell'antica Roma, attraverso il Foro, scaricava nel Tevere, dopo un percorso di seicento metri, con un arco a tutto sesto alto quattro metri e mezzo. I sistemi di fognatura si distinguono fondamentalmente in due tipi: uno destinato ad accogliere le acque meteoriche, dette anche «acque bianche» perché contenenti non eccessive quantità di impurità, le altre destinate invece ad accogliere le acque di rifiuto del centro urbano, dette «acque nere» o «luride», perché contenenti le deiezioni umane ed animali.
Se ambedue le acque vanno a finire nelle stesse canalizzazioni la fognatura si dice «a sistema unitario», mentre se vengono convogliate in canalizzazioni diverse si chiama «a sistema separatore». Le acque nere provengono, come si sa, dalle abitazioni, dagli edifici pubblici, da stabilimenti industriali e dall'innaffiamento delle aree pubbliche. Esse, come abbiamo detto, contengono rifiuti organici facilmente putrescibili e contenenti germi patogeni, e residui inorganici di solito nocivi (scarichi industriali, detersivi etc.) e devono perciò essere eliminate il più rapidamente possibile. Convogliate nelle apposite canalizzazioni esse vengono scaricate in mare, nei laghi, nei corsi d'acqua o versate nella falda idrica sotterranea dopo la filtrazione attraverso il suolo (irrigazione agricola, filtrazione intermittente), il quale funge da depuratore naturale trattenendo le sostanze diluite nell'acqua e consentendo ad essa di unirsi con un sufficiente grado di purezza alla falda idrica sotterranea.
Il problema dello scarico delle acque luride ha oggi assunto aspetti preoccupanti, come abbiamo detto parlando dell'inquinamento dei laghi e dei fiumi, per la quasi totale mancanza di opportuni impianti di depurazione.
Vi sono vari tipi di fognature di cui vi proponiamo qualche esempio.
Le fognature di Roma sono del tipo «ad intercettazione ed allontanamento laterale» e sono costituite da una serie di canali che, partendo dai vari rioni, si gettano in due grandi collettori che corrono paralleli al fiume e che vi si gettano in punti opportuni.
Le fognature di Berlino, invece, sono del tipo «radiale» o «a sezioni».
I diversi collettori, in fognature di questo tipo, presentano un andamento centrifugo (dal centro alla periferia), fanno capo ciascuno ad un proprio emissario e, generalmente, sono indirizzati a destinazioni diverse. Alla periferia, infine, sono collocate stazioni elevatrici che inviano le acque agli impianti di depurazione.
Le fognature di Berlino, appunto, si dividono in dodici sezioni.
Ogni fognatura può essere costruita con sistema unitario (destinato ad accogliere sia le acque meteoriche, sia quelle di rifiuto) o con sistema separatore.
Il primo presenta il vantaggio di assicurare la protezione del recipiente (fiume, lago etc.) dall'inquinamento, in quanto l'insieme dei rifiuti viene convenientemente diluito e risulta di conseguenza meno nocivo, e lo svantaggio di essere costituito da ampi collettori in cui, con le minime portate, il livello dei liquami risulta troppo basso e non viene conseguentemente assicurato il trasporto delle materie solide.
Il sistema separatore ha il vantaggio di presentare un effluente nero di portata costante, per cui la depurazione risulta più agevole ed economica e viene altresì assicurato il trasporto delle materie solide. Essendo però i collettori di più piccola sezione, risultano generalmente inaccessibili e, in caso di ostruzione o di guasti, le riparazioni si presentano difficoltose o costose.
La rete di fognature è costruita sfruttando opportunamente le pendenze del centro urbano, per assicurare lo scolo naturale delle acque, che cadono per effetto di gravità.
Nelle città in assoluto piano, quando è impossibile dare ai collettori la pendenza dovuta, si ricorre allo «scolo artificiale», inserendo nel sistema impianti di sollevamento meccanico o di aspirazione.
PERCHÉ IN MOLTI CANALI CI SONO LE CHIUSE?
Fiumi e canali, lungo il loro percorso, superano spesso notevoli dislivelli.
Se i corsi d'acqua presentano caratteristiche di navigabilità, occorre fare in modo che i natanti compiano dei veri e propri «salti» per superare i dislivelli che incontrano.
A questo scopo l'uomo compie, dov'è necessario, un'opera idraulica tecnicamente detta «conca di navigazione».
La conca di navigazione consta di una vasca detta «camera», «bacino» o «cratere», di dimensioni adeguate a quelle dei natanti che vi devono transitare.
La conca, il cui fondo è a quota uguale od inferiore a quella dell'alveo o del tronco di canale a valle, ha i lati maggiori costituiti da due muri di fiancata e sui lati minori presenta due porte (chiuse) a tenuta d'acqua. Sotto la chiusa a monte vi è un gradino detto «muro di caduta» pari al dislivello tra i fondi dei due alvei, quello a monte e quello a valle.
Quando un natante deve risalire il fiume o il canale, l'acqua nella conca viene portata al livello del tronco a valle, il natante entra nella camera e la porta a valle viene richiusa. Si fa quindi risalire l'acqua nella camera fino al livello del tronco a monte, si apre la chiusa a monte e il natante può così proseguire il suo cammino.
Se il natante è invece diretto verso il mare o ridiscende il corso del canale, si compie la manovra inversa. Il natante entra nella camera, in cui il livello dell'acqua è stato opportunamente elevato fino al livello del tronco a monte. Quindi la conca viene lentamente svuotata consentendo al natante di raggiungere il livello del tronco a valle, di compiere così il «salto».
L'impiego delle conche di navigazione non è certo recentissimo. La prima opera del genere fu eseguita in Italia nel 1438-39 a Viarenno, presso Milano. Leonardo vi apportò notevoli perfezionamenti ed a lui spetta il merito di aver ideato chiuse talmente funzionali che ancora vengono largamente usate.
Queste presentano due battenti di lunghezza alquanto superiore alla metà della distanza tra i rispettivi cardini (circostanza che si verifica logicamente in tutte le normali porte) cosicché, quando i battenti sono chiusi, formano tra loro un angolo ottuso con il vertice proteso a contrastare la spinta della corrente.
Una chiusa sul Naviglio Pavese, alle porte di Milano
PERCHÉ LE STRADE SONO D'ASFALTO?
Come nasce una strada? Si può immaginare come, in un lontanissimo passato, il tracciato di una strada si formasse spontaneamente, in seguito al continuo transito lungo un percorso facilmente accessibile ed agevole. Quindi, con il progredire delle civiltà, con il crescente sviluppo dei mezzi di trasporto e degli scambi commerciali tra popoli confinanti, sorse la necessità di costruire delle vere e proprie strade, pavimentate e viabili, lungo un percorso meno tortuoso, più breve e più adatto alle nuove necessità. Già in Mesopotamia si usò pavimentare strade, d'impiego e d'interesse comuni, con mattoni cotti, e bitume naturale, mentre i Greci si limitarono a stendervi sopra della ghiaia, scavandovi delle guide per le ruote dei carri, lasciando solo alle vie cittadine il privilegio d'essere lastricate.
Anche gli Etruschi aprirono molte strade, ma non giunsero a creare una solida pavimentazione come fecero invece i Romani che restarono i più grandi costruttori di strade dell'antichità.
Molte arterie tutt'ora in uso, oltre che portare l'antico nome, seguono il loro stesso tracciato.
La strada romana era formata di vari strati, il primo, più basso, di grosse pietre spezzate, il secondo battuto e composto di pietre di minori dimensioni, il terzo di sabbia fine e il quarto di grossi lastroni di selce.
Questo sistema era usato per le grandi vie consolari, come l'Aurelia, la Flaminia, la Cassia, la Casilina etc., che da Roma s'irraggiavano attraverso tutta l'Italia.
L'evoluzione stradale subì un notevole arresto con le invasioni barbariche ed il Medioevo, per riacquistare sempre maggiore importanza dal '500 in poi e, soprattutto, dopo la prima guerra mondiale, con lo sviluppo delle automobili che portarono nuove esigenze di pavimentazione.
L'era moderna segna la comparsa delle strade asfaltate, pavimentate, cioè, a base di bitume.
Il bitume, una miscela di idrocarburi che si trova in natura in giacimenti anche di notevole purezza (Trinidad) ma più spesso frammisto a sostanze minerali sotto forma di asfalto naturale (giacimenti di S. Valentino, Ragusa, etc.), può essere ricavato in notevoli quantità artificialmente, come sottoprodotto della raffinazione del petrolio grezzo.
Il bitume è di color nero, diventa molle al calore acquistando proprietà amalgamanti, è impermeabile e molto resistente agli agenti d'erosione atmosferici. Per queste sue proprietà e per l'abbondanza con cui viene prodotto, è stato adottato per pavimentare le strade, tanto più che i moderni automezzi, sempre più numerosi e veloci, hanno bisogno di una pista resistente, liscia ed uniforme, ben più agevole degli antichi lastroni.
Come si costruisce, oggi, una strada? Come avveniva presso i Romani, anche oggi si pratica uno scasso nella sede stradale, preparando una solida ed uniforme «massicciata», con ghiaia e pietrisco proveniente da rocce resistenti.
Dopo averla ben pressata con un compressore fino a farle raggiungere lo stesso livello delle banchine laterali, la si ricopre d'asfalto.
Sia lo scasso che, conseguentemente, i vari strati che formano la strada, vengono costruiti a doppio spiovente: la loro sagoma a schiena d'asino consente, infatti, alla pioggia di defluire e di allontanarsi lateralmente.